giovedì 13 giugno 2013

Cosa volevo dire...

Ed eccoci a cosa volevo dire. Ho anche capito perché era difficile. La risposta presupponeva una lunga introduzione su come ragiono, per nulla scontata. Ed ecco come ragiono.

Studio storia. Chiunque studi storia, a qualsiasi livello, si imbatte prima o poi in una questione di metodo ed etica, che se recepita influenza enormemente il suo comportamento successivo, sia professionale sia, ed è secondo me la cosa più importante, umano. Dico umano perché, a ben guardare, non è pura deontologia: è una vera e propria forma mentis che, come tale, non può che travalicare i confini professionali. E' una questione che ha avuto, tra gli altri, un grande alfiere nella persona di Gaetano Salvemini. Storico, antifascista, socialista federalista e meridionalista.

Ebbene, cosa diceva Salvemini? Che il primo dovere di uno storico non è tanto l'imparzialità assoluta, che è impossibile da raggiungere, quanto la probità intellettuale. La capacità, cioè, di riconoscere a sé stessi di essere "solo" umani, di avere passioni, idee e simpatie che possono in qualche modo interferire con la ricerca dell'imparzialità a cui ogni storico (ma non solo) dovrebbe tendere quando scrive o divulga. Ma non è finita qui: una volta accettata questa fallibilità, lo storico ha il dovere morale di mettere a parte i suoi lettori delle proprie simpatie ed idee, per fornire loro uno strumento in più con cui possano vagliare criticamente quello che lo storico stesso afferma.

E' una forma di onestà molto simile a quella che, in teoria, dovrebbe avere un giornalista. La non-faziosità ecco. Puoi essere schierato, ma non è giusto che tu sia fazioso. E se non sei fazioso, non solo è preferibile, ma è anche un dovere morale rendere edotto chi ti legge del fatto che non sei neutrale. E' una questione di integrità morale, di dignità se vogliamo, che non ha mai goduto di ottima salute e che ai giorni nostri, con il progressivo sostituirsi del business mediatico al giornalismo, sembra irrimediabilmente perduta e confinata a pochi salotti intellettuali.

Studio storia, l'ho già detto. E da quando ho avuto la fortuna di imbattermi in Salvemini, ed altri come lui, ho voluto fare mia questa spinta alla probità intellettuale. Nella vita, soprattutto. Non sempre ce la faccio, ma ci provo. 



Oggi la persona che amo mi ha chiesto se sarei rimasto con lei anche se si fosse ammalata. Io ho dato una risposta confusa, che forse l'ha ferita e le ha lasciato il dubbio che non l'avrei fatto. Quello che avrei voluto rispondere invece, dopo il lungo prologo precedente, è questo.

"Amore mio. Io non ho mai amato nessuno come te, e con te sto vivendo qualcosa di cui non ho nessuna esperienza. Sono come un bambino. I miei trent'anni in questo caso sono gettati alle ortiche: posso sognare, posso fare progetti, ma tutta la mia vita precedente non mi ha minimamente preparato a questo. Se ogni volta ti guardo come fosse la prima volta è perché è così: ogni giorno mantiene intatta la meraviglia del primo perché ogni giorno con te è una scoperta nuova."

"Mi chiedi se rimarrei con te se ti ammalassi. Vorrei urlarti di sì e dirti che rimarremo insieme per sempre. Adoro pensarlo, è romantico, mi fa battere talmente forte il cuore da sentirlo anche sulla punta delle dita mentre scrivo. Ma la verità, la probità intellettuale, è che non ne ho la certezza. Non mi è mai successo, non ci sono passato. Non so cosa proverei. Non so come reagirei se ti ammalassi. Forse negherei tutto, forse impazzirei, forse sarebbe un colpo talmente devastante che per istinto di conservazione me ne andrei. C'è chi lo fa, ne ho conosciuti molti e tutti erano brave persone. O magari no, magari ti porterei per mano ad ogni visita, e ti coccolerei ancora di più e cercheremmo insieme la strada per la tua guarigione o per il nostro equilibrio, se non si potesse guarire. Mi piace pensare che farei così, vorrei essere senza ombra di dubbio quel tipo di persona. Ma la verità è che non lo so. Da qui la mia esitazione."

"So di averti ferito. So che dirti che rimarremo sempre insieme qualunque cosa accada è bellissimo. Ma non ne ho la certezza. Non sarebbe giusto dirtelo, non sarebbe onesto, farei un torto ad entrambi. Può sembrarti uno scrupolo stupido, ma sai anche tu quanto sia labile il confine tra mantenere la propria dignità e sembrare stupidi. Quello che posso dire, quello su cui ho il controllo, quello che posso davvero fare, è farti una promessa. La promessa che qualunque cosa accada io farò tutto ciò che posso per continuare a stare con te."
Strano modo di funzionare le parole: pensi di essere bravo con loro, non te la cavi male a parlare in pubblico, sei decisamente abile a dialogare e difficilmente, in una discussione, resti a corto di argomenti o ti mancano gli strumenti per dire quello che pensi. A ciò aggiungi che il cuore, quasi sempre, ti dà una mano. Non sei cioè uno che parla a mente fredda, che si prepara prima quello che ha da dire: anzi, vai spesso a braccio ed il sentimento non è per te un ostacolo sulla via del parlare bene ma viceversa ti dà una marcia in più, fornendoti una marea di argomentazioni che la tua mente non ha particolari problemi a riorganizzare ed esporre. Insomma, sei uno che pensa di saperci fare con le parole.

E poi, nel primo pomeriggio di una qualsiasi giornata di giugno, una persona ti rivolge una domanda legittima ed importante. E tu sai benissimo cosa stai pensando. Vorresti solo risponderle dal più profondo del cuore per rassicurarla e spiegarle cosa ti frulla in testa ma è come se non avessi mai parlato in vita tua e le frasi ti escono male. Monche, manca una parte fondamentale di te, mancano quelle spiegazioni in più e coerenti che darebbero tutt'altro senso alle tue affermazioni e renderebbero giustizia a quello che hai in testa che è, ne sei certo, molto più bello da pensare e da vivere di quello che hai appena borbottato. Seguono alcuni secondi di silenzio, il tuo, lunghi come un'ora di matematica al liceo (e tu odii matematica). Ne seguono altri, del suo silenzio stavolta, e a te sembra di essere nel film "Salvate il soldato Ryan", quando vicino a Tom Hanks avviene un esplosione e per lui il mondo diventa un gigantesco acquario al rallentatore.

Ti rendi conto che se tu non parli lei prenderà il tuo silenzio come una risposta. Panico. Unico pensiero coerente: "Amore mio, non preooccuparti, resterei comunque con te, ma dammi un minuto che trovo un modo comprensibile di dirti quello che penso." Ma non riesci a parlare. Ancora più panico. Poi ti salvi in corner, in qualche modo riesci a farfugliare una spiegazione di quella tua esitazione. Ma sai che la persona che hai davanti (circa - dall'altro capo del telefono, diciamo) aveva bisogno di molto più di questo. E sai che tu potevi e puoi tranquillamente darglielo. Allora che fai? Rientri a casa, apri un blog e lo scrivi, no?